A ormai un anno dall’emanazione della normativa che regolamenta lo Smart Working, la Legge n. 81/2017, è giunto il momento di tirare le prime somme. La soluzione lavorativa sta conoscendo un’indubbia diffusione nel territorio italiano: le ultime stime, proposte lo scorso anno dall’Osservatorio per lo Smart Working del Politecnico di Milano, parlano di oltre 300.000 Smart Workers nel nostro Paese, con un aumento del 3% rispetto all’anno precedente. Ad oggi si tratta per lo più di lavoratori provenienti dal settore privato, benché la quota dei lavoratori della pubblica amministrazione coinvolti sia destinata a crescere a seguito di una recente direttiva del Ministro Madia. Ciononostante, da uno studio pubblicato a febbraio 2017 da Eurofound e International Labour Organization, l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa riguardo le percentuali di lavoratori coinvolti nello Smart Working. Sebbene la ricerca risalga al periodo antecedente la regolamentazione italiana del lavoro agile, lo scarso coinvolgimento nello stesso rispetto al resto del mondo è ancora evidente e la ragione è probabilmente da ricercare nella cultura del controllo e dell’associazione presenza fisica = produttività ancora troppo diffusa nel Belpaese. Lo Smart Working si gioca invece sulla reciproca fiducia tra azienda e lavoratore quale elemento fondante la relazione tra i due e fondamentale per l’efficacia organizzativa.
Chi rema a favore…
Dopo un iniziale periodo di sperimentazione, diverse sono le realtà italiane che con soddisfazione hanno deciso di introdurre stabilmente lo Smart Working tra le modalità lavorative. Tra i casi più attuali vi è quello di Axa Italia, che rappresenta un esempio di policy di successo nell’applicazione del lavoro agile, tanto da guadagnarsi il premio Smart Working Award 2017 dell’osservatorio del Politecnico di Milano. A fronte di un’indiscussa necessità di revisione delle modalità di gestione e organizzazione del lavoro, prima ancora che degli spazi, l’azienda riferisce notevoli risultati in termini di produttività e soddisfazione dei suoi lavoratori, nonché di motivazione e work-life balance.
…e chi ha qualche ripensamento
Tuttavia non mancano le perplessità avanzate proprio dai primi sostenitori del lavoro agile, sin dall’inizio oggetto di analisi nei suoi innumerevoli pro e, ahimè, altrettanti contro: è di giugno 2017 il primo e inatteso diètro frónt di IBM, che conferisce nuova rilevanza al luogo di lavoro sostenendo che i collaboratori necessitino di ambienti creativi e stimolanti per essere realmente produttivi e innovativi. Nell’esperienza di chi ci ha preceduto nell’implementazione dello Smart Working e si è dunque già imbattuto nei limiti che comporta, la location pertanto riacquista un ruolo determinante non soltanto per le sue caratteristiche fisiche ma anche e soprattutto per la componente relazionale che trascina con sé. Le implicazioni psicosociali sono, prevedibilmente, tutt’altro che trascurabili.
Alla luce di questa ambivalenza, potremmo dedurre pertanto che è riduttivo valutare la fattibilità e l’efficacia dello Smart Working in maniera decontestualizzata ma occorre fare riferimento alle esigenze delle risorse umane presenti, oltre a quelle dell’azienda. Ogni collaboratore infatti è portatore di peculiari necessità che devono non soltanto incontrare quelle aziendali ma essere tenute in debita considerazione, affinché l’intersezione tra le due possa essere proficua e lo Smart Working costituisca un effettivo strumento di conciliazione. Ne deriva la necessità di operare innanzitutto un’analisi organizzativa ed un intervento di coinvolgimento attivo dei collaboratori: ci si deve chiedere come il proprio core business potrebbe trarre giovamento dallo Smart Working ma anche quali caratteristiche, bisogni e potenzialità presentano i lavoratori coinvolti. In questo modo si potranno individuare le condizioni con le quali implementare il lavoro agile (la frequenza settimanale è un elemento importante) nonché un campione di lavoratori da coinvolgere per un eventuale progetto pilota, all’interno del quale assumeranno rilevanza variabili come, ad esempio, la distanza casa-lavoro, che può rendere lo Smart Working più attraente per un lavoratore piuttosto che per un altro. Qualora i vantaggi aziendali e individuali si intercettassero, occorrerà pianificare una riorganizzazione dell’attività lavorativa, con i suoi spazi e le sue strumentazioni: diverse realtà organizzative che vogliono adottare il lavoro agile predispongono degli spazi di coworking e, inevitabilmente, metodologie per la comunicazione a distanza come la messaggistica istantanea o i web meetings. Non si può, in ultimo, non programmare un monitoraggio costante e completo tanto dei risultati aziendali quanto della soddisfazione individuale. Sono questi gli imprescindibili strumenti per stabilire se il lavoro agile possa realmente essere un abito su misura per l’azienda e per chi la compone e come vada confezionato.